Orientandoli e dando ai partecipanti al progetto LIME tutti gli strumenti per rendersi autonomi nell’affrontare le sfide del mondo esterno, Monica e Margherita lavorano con grande dedizione e competenza all’elaborazione di processi per l’inserimento dei migranti nel mondo del lavoro. Questo loro impegno quotidiano avviene però nel quadro di una più grande ragionamento sul fine ultimo del progetto LIME e sul senso dei loro interventi.
Il team di ALDA ha avuto una lunga conversazione con loro, ricca di profonde riflessioni sul loro lavoro. Ci auguriamo che questo articolo possa rendere giustizia alla complessità dell’argomento.
Potreste presentare il CIES e il vostro ruolo nel progetto LIME?
Il CIES è una organizzazione che svolge molteplici attività in vari settori, principalmente mediazione interculturale, cooperazione internazionale, educazione alla cittadinanza globale e centro di aggregazione giovanile. Monica e Margherita sono due delle persone che cinque anni fa hanno creato lo Spazio di Orientamento alla Formazione e al Lavoro (SOFeL). Ci tengono entrambe a sottolineare il senso di averlo chiamato “Spazio” proprio perché volevano che fosse uno punto per creare un processo quanto più ampio possibile verso l’inclusione (sociale, culturale, lavorativa, ecc) di una persona e dove questa possa crescere e maturare. A entrambe piace parlare di inclusione e non di integrazione per evidenziare la necessità di rendere il mondo esterno il più democratico e accessibile a tutti, tramite la creazione comune di regole. La parola inclusione evidenzia questo processo bilaterale che si deve creare tra chi c’è e chi arriva nella creazione di un nuovo spazio condiviso.
Margherita, essendo un’esperta del mondo del lavoro e delle politiche attive, all’interno di LIME si occupa di scouting aziendale e di coaching dei partecipanti nelle fasi di preparazione all’ineserimento nel mondo del lavoro. Monica, invece, venendo da un percorso di cooperazione in Paesi in conflitto, si occupa di azioni di orientamento specifico e mappatura delle competenze personali cercando di portare come elemento chiave l’importanza della costruzione di un’autonomia. Entrambe lavorano con un approccio integrato, collaborando con tutti gli altri tutor e stakeholders in modo da creare percorsi di inclusione avendo una fotografia completa del migrante.
Com’è la comunicazione con i partecipanti al progetto? Quali sono state le maggiori difficoltà nel creare un rapporto con loro e come siete riuscite a superarle?
Monica ci ha spiegato come il peculiare contesto politico italiano abbia influito pesantemente nell’interazione coi partecipanti all’avvio del progetto LIME. Infatti, il cambiamento giuridico portato dai Decreti Sicurezza a tutti gli aspetti delle politiche migratorie e di accoglienza ha creato nei migranti molta ansia e paura e un’urgenza di trovare lavoro nel più breve tempo possibile per avere la sicurezza di poter restare. A questa urgenza però il progetto LIME non poteva rispondere proprio perché prevedeva una lunga fase di formazione che potesse solo in seguito portare all’inserimento esterno nel mondo del lavoro. “La sfida più difficile è stata far comprendere ai partecipanti la necessità del tempo e far loro trovare il senso della formazione nonostante il bisogno impellente che sentivano”, ci ha spiegato Margherita. Inoltre, questo doveva essere accompagnato dalla “decostruzione di una serie di convinzioni dei partecipanti sul fatto che la loro forza lavoro e fisica fosse sufficiente a trovare un impiego e far loro capire che la conoscenza della lingua e la qualificazione è invece importante”.
Monica ci ha anche raccontato che per creare un rapporto di fiducia con i partecipanti è essenziale “far capire che il lavoro viene fatto tutto insieme, non c’è un noi e un voi, il progetto appartiene a tutti ed è fondamentale che tutti ne condividano il senso”. Margherita ha anche aggiunto che per creare fiducia l’importante è “essere sinceri, non dare prospettive che non si possono utilizzare, e esserci, anche tramite un messaggio o una telefonata. Spesso si diventa punti di riferimento anche su questioni non di nostra competenza, ma è importante creare un rapporto umano”.
Come è stato accolto il progetto dai partecipanti e come ha influito il lockdown sul suo svolgimento e sulle fasi di lavoro in cui siete ora?
È normale che molti progetti abbiano un impianto verticale di attività che piovono dall’alto verso i partecipanti. “La chiave sta nel processo, nel trovare un senso a quello che si sta facendo e renderli dei luoghi di crescita e di empowerment”, ci dice Margherita. L’esempio è arrivato proprio durante il lockdown quando la sfida più grande è stato non perderli e non interrompere il lavoro. Sono stati quindi pensati due incontri settimanali di gruppo su zoom attraverso i quali continuavano a promuovere la conoscenza di alcuni contenuti utili nell’immediato, come ad esempio quali fossero le possibilità di accedere ad interventi di sostegno economico al reddito. La sorpresa per Monica e Margherita è stata vedere il tipo di partecipazione dei ragazzi anche quando gli incontri erano a tema libero. “La cosa che più mi ha commosso è che alcuni si sono presi carico della loro parte del progetto e sono diventati animatori delle discussioni, scambiandosi informazioni importanti. Quando abbiamo rallentato il ritmo di questi appuntamenti abbiamo ricevuto tante richieste di continuare a farli”, ci ha confessato Margherita.
Per Monica invece la cosa più interessante da osservare è stata che il lockdown ha reso tutti i ragazzi molto più pro-attivi nell’usare le conoscenze che gli fornivamo per diventare autonomi nel fare certe attività. “Ciò che è cambiato è proprio la percezione della nostra utilità. Quando hanno iniziato a diventare consapevoli dell’utilità di ciò che stavano facendo hanno iniziato a essere molto più intraprendenti”. Monica, che segue anche i ragazzi che hanno intrapreso il percorso di auto impresa, ci ha anche raccontato che ha portato avanti dei colloqui individuali con i vari partecipanti per aiutare loro a sviluppare una narrazione quanto più ampia e dettagliata delle loro competenze in modo da non condannarli nell’invisibilità.
Il lavoro di Monica e Margherita si svolge esclusivamente in Italiano, questo perché vogliono essere il più realiste possibile sulle condizioni che poi i partecipanti troveranno nel mondo del lavoro. Nonostante questo, oltre al livello effettivo di lingua, cercano sempre di valutare anche le possibilità di crescita e il potenziale comunicativo di ciascuno. Al momento, entrambe stanno portando avanti l’attività di scouting aziendale e di coaching. Con il Covid l’inserimento dei partecipanti nei tirocini è stato molto rallentato a causa della crisi che molte aziende hanno dovuto affrontare. Nonostante questo, Monica e Margherita sono riuscite a far avviare ben 7 tirocini, permettendo loro anche di lanciare un messaggio importante ai partecipanti: “nonostante tutte le difficoltà anche noi abbiamo fatto la nostra parte con costanza per aiutarvi”.
Monica ci ha anche detto che, a fronte di queste difficoltà che il covid ha portato, è stato anche molto importante il fatto che si siano sentite libere di muoversi all’interno del progetto LIME con creatività e senza essere rinchiuse in rigidi schemi, permettendo loro di adattare i percorsi di inserimento nel mondo del lavoro anche alle passioni dei partecipanti e non solamente all’esigenza di un lavoro immediato.
Siete soddisfatte della prima parte del progetto? Cosa potreste suggerire agli altri partner di LIME per migliorarlo?
A fronte dei tanti momenti complicati soprattutto nella comunicazione con i destinatari del progetto, Margherita ci dice che la sua soddisfazione più grande è stata quella di aver fatto squadra coi colleghi e di aver ricevuto dei feedback sull’efficacia del suo lavoro di cui a volte non ha percezione.
Entrambe hanno riflettuto sul fatto che il progetto LIME è pioneristico perché ha un approccio non solo sulle attività ma proprio sulla “governance” di un processo più ampio. “La cosa interessante è il superamento del concetto di rete formale, ma il lavoro verso la creazione di un approccio comune e strutturale al tema del lavoro dei migranti. Questo è quello che andrebbe valorizzato di più di LIME: la sua capacità di gettare le basi di questo nuovo sistema”, ci hanno detto.
Monica e Margherita hanno poi raccontato di come a volte il loro lavoro sul terreno rischia di rimanere un po’ separato dal resto del progetto e, al di là dei momenti di confronto dei capacity building workshops, vorrebbero che esistessero anche dei momenti di confronto fra le persone, dei vari partner, che lavorano sul campo, proprio per poter valutare insieme l’efficacia delle loro azioni.
Ringraziamo di cuore Monica e Margherita per aver condiviso con riflessioni che aiuteranno di certo il progetto a maturare.
#LIMEstories